Nell’inerzia del Parlamento, sulla diffamazione a mezzo stampa legifera la Consulta: «No al carcere per i giornalisti»


Carcere per i giornalisti in caso di diffamazione solo in casi di eccezionale gravità, la Corte Costituzionale interviene direttamente sulle normi relative alla pena in caso di diffamazione a mezzo stampa. E lo fa perché, pur avendo dato un anno di tempo al Parlamento per intervenire, quell’intervento in 365 giorni non c’è stato. Ciononostante, resta fermo l’invito della Consulta al legislatore affinché intervenga con una disciplina che consenta un bilanciamento tra tutela del diritto di manifestare il proprio pensiero e tutela della reputazione della persona «anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione» scrive in una nota l’ufficio stampa della Corte riferendosi in particolare all’ascesa dei social come mezzi di comunicazione. Nelle prossime settimane, la sentenza dei giudici sarà depositata, nel frattempo le sue anticipazioni soddisfano i sindacati dei giornalisti, in particolare parlano di «sentenza storica» Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana, e Claudio Silvestri, segretario del Sindacato unitario giornalisti della Campania.

Leggi anche / Carcere per i giornalisti, la Corte Costituzionale rinvia: il Parlamento ha un anno di tempo per una nuova legge

    Chiamata a pronunciarsi dai tribunali di Salerno e Bari – che ritenevano la pena detentiva per la diffamazione a mezzo stampa illegittima per contrasto con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – la Consulta ha  dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948). E così ha fatto cadere in caso di condanna l’obbligo del carcere da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa. La Corte ha  invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. La ragione del salvataggio  è che questa norma consente al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità.

 «La Corte Costituzionale ha fatto la sua parte portando l’Italia nel solco della giurisprudenza di Strasburgo. Siamo soddisfatti la svolta è storica perché l’incubo del carcere in via ordinaria svanisce, mentre l’ipotesi dell’eccezionale gravità è residuale e comincia in concreto a porre dei distinguo tra colpa e dolo che potranno essere meglio definiti quando ci sarà la politica, il Lancillotto di questa vicenda» ha commentato Carlo Verna, presidente dell’Ordine Nazionale dei giornalisti.

mercoledì, 23 Giugno 2021 - 07:14
© RIPRODUZIONE RISERVATA