Ucciso per errore nella faida di Scampia, confermato l’ergastolo al boss Di Lauro: Romanò vittima di uno scambio di persona

Il boss Marco Di Lauro catturato dopo 14 anni di latitanza (foto Kontrolab)
di Gianmaria Roberti

L’assoluzione che la difesa aveva invocato non c’è stata. Non c’è stato quel ribaltamento della precedente sentenza di condanna all’ergastolo che la Corte di Cassazione aveva annullato disponendo la ripetizione di un processo di secondo grado. Una decina di minuti dopo la mezza di oggi il boss Marco Di Lauro, arrestato dopo quasi 14 anni di latitanza, è stato condannato al carcere a vita per l’omicidio di Attilio Romanò, vittima innocente della prima guerra di camorra scoppiata a Scampia e Secondigliano alla fine del 2004.

La sentenza è stata firmata dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presidente Rosa Romano, a latere Taddeo) che hanno accolto le conclusioni del sostituto procuratore generale Carmine Esposito. Marco Di Lauro, già condannato in via definitiva per associazione di stampo mafioso e sotto processo (con rito abbreviato) per due imputazioni di traffico di droga, è stato ritenuto colpevole di essere il mandante dell’agguato costato la vita ad Attilio Romanò.

Un agguato, in realtà, il cui obiettivo designato era il nipote del ras scissionista Rosario Pariante (oggi pentito). Era il 25 gennaio del 2005 quando, all’interno del negozio di telefonia mobile a Secondigliano dove Attilio Romanò lavorava, entrò il killer del clan Di Lauro, Mario Buono detto ‘topolino’ (già condannato all’ergastolo in via definitiva): Buono aprì il fuoco senza avvedersi di avere dinanzi la persona sbagliata. Attilio Romanò, che era sposato da pochi mesi, morì sul colpo.

Per quell’agguato fu incriminato e processato anche Cosimo Di Lauro, finito in carcere proprio pochi giorni prima della morte di Romanò: secondo l’iniziale impostazione accusatoria, Cosimo Di Lauro lasciò al fratello Marco – che ereditò il comando – una lista con gli obiettivi da colpire nella faida che segnò la scissione all’interno del clan Di Lauro. E Marco Di Lauro proseguì la strategia del terrore anche con l’obiettivo di depistare le indagini sul fratello Cosimo: la volontà era dimostrare che, anche con Cosimo Di Lauro in prigione, la guerra non si era fermato. Come a dire: se la scia di sangue non s’era interrotta è perché Cosimo Di Lauro non era il regista della faida. Tuttavia già in primo grado questa ricostruzione non resse al vaglio dibattimentale: Cosimo Di Lauro venne assolto e la procura ha deciso di non impugnare la sentenza, lasciandola diventare definitiva. Resta, dunque, il dato processuale che ad ordinare quell’agguato che avrebbe dovuto colpire Rosario Pariante (all’epoca dei fatti detenuti) fu Marco Di Lauro.

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lunedì, 11 Novembre 2019 - 12:53
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