Marco Vannini, caso chiuso: la Cassazione conferma le condanne dell’appello bis. Famiglia Ciontoli in carcere

Marco Vannini, il 20enne rimasto ucciso da un colpo di pistola esploso accidentalmente dal padre della sua fidanzata

Sei anni di dolore e di appelli. Sei anni alla ricerca della verità e della giustizia per il figlio Marco. Dopo sei anni la verità, almeno quella processuale perché quanto accaduto nella villetta di Ladispoli ha ancora lati oscuri, viene ristabilita dalla Corte di Cassazione che ha reso definitive le condanne per Antonio Ciontoli, la moglie Maria, i figli Martina (allora fidanzata di Marco Vannini) e Federico. Poche ore dopo la sentenza, la famiglia Ciontoli si è costituita in carcere.

Si chiude così uno dei capitoli più drammatici della cronaca nera italiana, legato alla morte del 21enne Marco vannini, studente bellissimo e spensierato di Cerveteri morto la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 in conseguenza di una ferita di arma da fuoco. Il colpo fu esploso nella villetta della fidanzata: secondo i giudici, che lo hanno ribadito per più gradi, a sparare fu Antonio, padre di Martina, che è stato condannato a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale.

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Per quanto riguarda Maria, Martina e Federico, i giudici della Cassazione, hanno spiegato fonti della difesa, hanno trasformato il “concorso anomalo” in “concorso semplice attenuato dal minimo ruolo e apporto causale”. Ma nulla cambia ai fini delle pene, che restano le stesse inflitte nell’appello bis nel settembre scorso, 9 anni e 4 mesi.

Marco era a casa della sua ragazza, Martina, a Ladispoli, centro urbano sul litorale a nord di Roma, la sera del 17 maggio 2015 quando fu colpito dallo sparo della pistola di Antonio Ciontoli. Da lì una catena di ritardi e omissioni che hanno, di fatto, causato la morte per emorragia. Ciontoli, probabilmente nel tentativo di preservare la sua carriera militare, parlò di un attacco d’ansia, di una ferita con un pettine a punta. Invece Marco era in agonia perché il proiettile era arrivato al cuore. A ucciderlo, diranno poi i giudici, l’imprudenza e il ritardo nell’attivazione dei soccorsi. La sentenza d’appello bis, il 30 settembre dello scorso, aveva aggravato le posizioni di tutte e quattro gli imputati, dopo il rinvio della Cassazione, nel febbraio del 2020, della prima sentenza d’appello, che avevo riconosciuto l’ipotesi più lieve di omicidio colposo. In quell’occasione gli ermellini avevano indicato, invece, una decina di indizi di colpevolezza sufficienti a contestare l’omicidio volontario. La morte di Marco sopraggiunse, avevano scritto i giudici motivando quella decisione, dopo il colpo di pistola “ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli” che “rimase inerte ostacolando i soccorsi”, e fu “la conseguenza sia delle lesioni causate dallo sparo che della mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”.

Per la procura generale non esiste una ricostruzione alternativa. «Tutti mentirono – ha sostenuto la pg di Cassazione Olga Mignolo nella sua requisitoria -. Tutti hanno tenuto condotte omissive e reticenti».

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mercoledì, 5 Maggio 2021 - 08:24
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