C’è una storia all’interno dell’inchiesta che stamattina ha colpito esponenti di primo piano della camorra dell’area est di Napoli che dà la misura della capacità dei malavitosi di fiutare gli affari. E’ una storia che non è sfociata in alcuna contestazione, ché nessun tipo di reato s’è concretizzato ma che la dice lunga sulla capacità dei malavitosi di «insinuarsi, a tutti i costi, nel tessuto sociale ed economico del territorio».
E’ il maggio del 2017 e Carmine Montescuro ed altri esponenti della camorra, come Salvatore Barile detto ‘Totoriello’ e Vincenzo Casella ‘a scignitella (entrambi legati ai Mozzarella), ragionano sulla possibilità di lanciarsi nel business dei centri commerciali gestiti dai cinesi. A via Carlo di Tocco, traversa che dà su via Emanuele Gianturco, vi è un grosso capannone. Il proprietario è disposto a vendere. Montescuro e i Mazzarella sono interessati ad acquistarlo, ché l’area di via Gianturco è zona di negozi all’ingrosso dei cinesi.
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Il piano è semplice: acquistare, con il denaro sporco ovviamente, il capannone, mettere in piedi un centro commerciale e poi darlo in fatti ai cinesi. Il profitto, dicevano, sarebbe stato enorme. Solo che la trattativa si arenò perché il proprietario chiese 3 milioni di euro e la cifra anche a Montescuro apparve spropositata.
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giovedì, 24 Ottobre 2019 - 15:36
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