Dress code alla corsiste, il pg al Csm: «Il pm Nalin succube di Bellomo, basta la sospensione come sanzione»

Il pm di Rovigo Davide Nalin

Davide Nalin, pm di Rovigo (sospeso dal Csm), ha sì «abusato della sua qualità di magistrato» nel cosiddetto ‘caso Bellomo’ (le allieve della scuola di preparazione al concorso in magistratura ‘Diritto e Scienza’ erano costrette a osservare assurde regole per frequentare le lezioni), ma la sua condotta è stata consequenziale di una sudditanza verso il magistrato Francesco Bellomo, il ‘deus ex machina’. Per questo motivo Nalin non merita l’espulsione dalla magistratura, ma una severa sanzione che preveda la sospensione, a tempo, dal lavoro e il cambio di sede e funzioni.

Sono le conclusioni cui è giunto il procuratore generale della Cassazione Mario Fresa nell’ambito del procedimento disciplinare, in corso alla quinta sezione del Csm (presieduta dal vicepresidente David Ermini), a carico di Nalin. «Il dottor Nalin ha sì abusato della sua qualità di magistrato ma è anche vero che era succube del consigliere Bellomo e doveva fare tutto ciò che gli ordinava», ha spiegato Fresa. Per il pg, dunque, «il tema della sanzione va affrontato, quindi in un’ottica di un possibile recupero di una persona ai valori autentici della funzione giurisdizionale di Nalin. Del resto la giustizia non è una clava, piuttosto è una bilancia come ricordava Calamandrei che porta su un piatto i codici e le leggi e sull’altro una rosa». Per Fresa la sanzione più adeguata è quella della sospensione dalle funzioni per due anni con il trasferimento obbligatorio ad altra sede e alle funzioni giudicanti: «Io penso che oggi possiate offrirgli proprio la rosa di Calamandrei, con una sanzione conservativa e non espulsiva, sebbene la più grave », ha concluso.

Secondo l’accusa disciplinare, Nalin come coordinatore dei collaboratori e borsisti avrebbe partecipato «alla gestione organizzativa e scientifica» della scuola e «speso la sua autorevolezza di magistrato» per indurre le borsiste a sottoporsi alle clausole, anche prospettando l’espulsione o conseguenze negative sulla possibilità di superare il concorso in magistratura.

Il caso, scoppiato in seguito alla denuncia sporta da una allieva, è stato poi oggetto di un’inchiesta che nel luglio scorso ha portato all’arresto (ai domiciliari) di Francesco Bellomo su ordine del gip del Tribunale di Bari Antonella Carfagna. Nelle 99 pagine del provvedimento cautelare era racchiusa la storia del dress code (minigonne e tacchi a spillo) imposto alle studentesse; il divieto di sposarsi pena la decadenza dalla scuola; «il divieto di avviare o mantenere relazioni intime con soggetti che non raggiungessero un determinato punteggio». Obblighi e divieti, scrisse il gip, «del tutto estranei alle finalità di una scuola di formazione giuridica e di preparazione al concorso di magistratura» ma finalizzati a «realizzare un vero e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione, fondato sulla concezione dell’agente superiore e sui corollari di fedeltà, priorità e gerarchia».

L’ordinanza del gip fu poi revocata dai giudici del Tribunale del Riesame che, in parziale accoglimento del ricorso della difesa, riqualificarono i reati da maltrattamenti in concorso in tentata violenza privata aggravata e stalking, e da estorsione in violenza privata, e sostituirono i domiciliari con il «divieto temporaneo, per la durata di dodici mesi, di esercitare attività imprenditoriali o professionali di direzione scientifica e docenza, interdicendogli in tutto le attività ad esse inerenti».

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venerdì, 10 Gennaio 2020 - 15:40
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