Mahmood, la deriva razzista in Italia: gli insulti per il suo cognome e le tesi sul complotto politico sulla sua vittoria

Mahmood, il vincitore della 69esima edizione del Festival di Sanremo
di Manuela Galletta

La vittoria (inaspettata) di Mahmood diventa un caso politico. E, peggio ancora, dà fiato sui social – ormai megafono di una collettività che con Twitter, Facebook e Instagram ha trovato il suo ‘posto al sole’ – a invettive razziali per le quali c’è solo da vergognarsi.
La giuria d’onore e la sala stampa hanno spinto sul gradino più alto del podio il sound Marocco-pop di Alessandro (il nome di battesimo di Mahmood), 27 anni e residente a Milano, ribaltando così il giudizio del ‘popolo da casa’ che – tra i tre finalisti (Mahmood, Ultimo e Il Volo) – aveva votato in massa per Ultimo e i suoi ‘I tuoi particolari’, mentre ancora riecheggiavano le proteste dell’Ariston che voleva a gran voce Loredana Bertà incoronata regina del Festival.

Le polemiche e le tesi complottiste sono nate così. Gli insulti a sfondo razziale anche. Parte del popolo social – che è poi lo specchio della gente che incontri per strada – ha gridato alla vittoria dello ‘straniero’ favorito solo perché ‘straniero’, favorito per fare un dispetto al ministro dell’Interno Matteo Salvini e alla sua politica contro lo sbarco dei migranti. Parte del popolo social ha iniziato a insultare Mahmood non per la sua musica (che può piacere o non piacere, come vale per miliardi di altri canzoni) ma solo per quel nome d’arte (uguale nel suono alla pronuncia del suo cognome Mahmoud) che racconta le sue origini africane. «Ha vinto un kebbabaro (detto in maniera sprezzante, ndr)», «ha vinto un migrante», «La tua vincita è oscena, ovviamente il timbro rosso è stato decisivo» sono alcuni dei vergognosi commenti sulla fan page del cantante.

Ma Mahmood è italiano, è nato a Milano e vive a Milano: sua mamma è sarda, il padre egiziano (che è sparito dalla vita di Alessandro). E’ un ragazzo che ha studiato (a 12 anni ha iniziato con corsi di canto, chitarra, pianoforte) e vuole provare a ritagliarsi un posto speciale nel mondo della musica: a dicembre ha vinto Sanremo Giovani con ‘Gioventù bruciata’ (approdando così di diritto nella categoria Big), ma allora nessuno si è scandalizzato; prima ancora aveva già partecipato a Sanremo Giovani senza però riuscire ad agguantare il podio, così come non era riuscito a convincere i giudici di X Factor all’edizione del 2012. Nel mezzo tanti pezzi scritti come autore, di cui tre composti per Marco Mengoni (è suo ‘Hola’, il brano che Mengoni ha cantato anche sul palco dell’Ariston con Tom Walker).

Ecco, dopo la vittoria di Mahmood, sarebbe stato bello se si fosse parlato del passato e dei sogni di questo ragazzo che ha stregato il ‘Dopo Festival’ con ‘Via con me’ di Paolo Conte tanto che la giornalista de ‘La Stampa’ Marinella Vengoni, ieri sera, l’ha rimproverato di non averla inserita nel suo album in uscita il primo marzo. Sarebbe stato bello se ci si fosse incuriositi sulle sonorità arabe che hanno contaminato e caratterizzato la sua canzone, quelle sonorità che – per chi ha seguito le dirette dei giornalisti dalla sala stampa – hanno conquistato sin da subito gli ‘inviati’ a Sanremo tanto che un boato e urla di gioia hanno accolto la vittoria del ragazzo. Alessandro, invece, è stato costretto a difendersi e non dal giudizio di chi ritiene, a torto o ragione, la sua canzone non bella (il gusto musicale è soggettivo e non la prima volta, né l’ultima, che sul podio arriva una canzone che non piace a tutti). Alessandro è stato costretto a ribadire «Sono italiano», come se provenire da una certa parte del mondo oggi sia un marchio che non conviene portarsi addosso. Come se provenire da una certa parte del mondo svuoti di valore una persona. Roba da far gelare il sangue nelle vene.

Di cattivo gusto anche la sfrenata dietrologia nel post tweet di Salvini sulla vittoria di Mahmood: il ministro dell’Interno ha semplicemente scritto «Mahmood… mah… La canzone italiana più bella?!? Io avrei scelto #Ultimo, voi che dite??», esprimendo una propria preferenza, che poi tra l’altro va in linea col voto popolare (che avrebbe premiato Ultimo) e con la sorpresa che ha accompagnato la vittoria del 27enne (egli stesso non riusciva più a parlare tanto era incredulo). Ma i più, giornalisti inclusi (alcuni), hanno fatto la corsa a confrontare il post del ministro con quello della sua ex, costruendoci sopra un battibecco politico-amoroso di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. Da censura il post di Maria Giovanna Maglie: «Un vincitore molto annunciato. Si chiama Maometto, la frase in arabo c’è, c’è anche il Ramadan e il narghilè, e il meticciato è assicurato. La canzone importa poco. Avete guardato le facce della giuria d’onore?». Parole che si commentano da sole. Ma che aprono ad un’altra considerazione: la giuria d’onore è ora ‘sotto accusa’ (dal tribunale dei social) perché sospettata di aver votato per dispetto nei confronti di Salvini, alla luce del fatto che i giurati hanno idee politiche che virano a sinistra. Può darsi che sia andata così, oppure no. Ma soffermarsi, insistere su questi aspetti non fa che sporcare il momento di felicità di un ragazzo che insegue un sogno e ha diritto di provarci. Indipendentemente dal fatto che sia italiano doc, di sangue misto o trapiantato in Italia. Mahmood è un cantante e solo delle sue canzoni deve rispondere al grande pubblico. (Leggi anche il servizio dal titolo ‘Sanremo e le accuse alla giuria d’onore. L’arrangiatore Pagani spiega com’è andata e dice a Ultimo: «Deve imparare a perdere»’)

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domenica, 10 Febbraio 2019 - 14:16
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