Con quella azzardata manovra volta ad allontanarsi dalla ex fidanzata Alessandra Madonna che si era recata sotto casa di lui, a Mugnano, per parlargli, Giuseppe Varriale non poteva non sapere che avrebbe messo a rischio l’incolumità della ragazza. E non poteva non saperlo perché, contrariamente a quanto sostenuto durante il processo di primo grado (definitosi con il rito abbreviato), Giuseppe Varriale s’era reso perfettamente conto che Alessandra si fosse aggrappata allo sportello anteriore lato guida. E’ per queste ragioni che i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, con il dispositivo di sentenza del 15 luglio scorso, hanno condannato l’imputato a 8 anni per omicidio preterintenzionale, l’omicidio di Alessandra (morto nella notte tra il 7 e l’8 settembre del 2017, procedendo ad una modifica dell’accusa di omicidio stradale che il gip aveva invece portato avanti.
Le motivazioni della decisione di inasprire la contestazione, e conseguentemente anche l’entità della pena, sono state depositate questa mattina. In 30 pagine di provvedimento, la Corte d’Assise d’Appello di Napoli hanno riletto i fatti «partendo dalle dichiarazioni dell’imputato e dalla valutazione della compatibilità della versione da lui resa, anche sotto l’aspetto della ricostruzione tecnica, con gli elementi di prova generica acquisiti». L’aspetto sul quale i giudici si sono concentrati è quello della consapevolezza o meno di Varriale di potere arrecare un danno ad Alessandra Madonna.
In sede processuale la difesa di Varriale aveva inquadrato la morte della ragazza come conseguenza di una serie tragica di eventi, ma era stato specificato che Varriale non si fosse accorto che la giovane si fosse aggrappata alla macchina e dunque si era semplicemente allontanato in tutta fretta. Invece Alessandra era ‘attaccata’ all’auto e la brusca accelerazione le fece perdere l’equilibrio, facendola sbattere contro un’auto in sosta e poi a terra. Alessandra morì a causa della gravità delle ferite. I giudici della Corte d’Assise d’Appello di Napoli hanno invece concluso che Varriale si rese perfettamente conto che Alessandra fosse aggrappata: il dato, si legge nelle motivazioni della sentenza, è desunto da due episodi. Varriale riferì questa circostanza ai carabinieri, quando fu sentito nell’immediatezza dei fatti. Una dichiarazione che la difesa aveva cercato di fare uscire dal procedimento sostenendone l’inutilizzabilità perché non genuina. La Corte invece non ha evidenziato alcuna criticità per cancellarla dal fascicolo. Il secondo dato che conferma la consapevolezza di Varriale sta nelle telecamere dell’ospedale dove Varriale portò Alessandra: nel chiedere l’immediato intervento dei medici, le telecamere inquadrano Varriale mentre spiega dove si è ferita Alessandra e dice “si è aggrappata”. Fermo restando che l’intenzione dell’imputato – come pure evidenziato dalla Corte – non era quella di uccidere Alessandra, i giudici però ritengono che Varriale si fosse «reso conto della pericolosa posizione in cui si trovava la Madonna e dei notevoli rischi che ne derivavano per la sua incolumità».
Nonostante questo compì assunse una «sconsiderata condotta», ossia quella di accelerare bruscamente. Per i giudici «la più che concreta possibilità che Alessandra potesse farsi male cadendo o sbattendo da qualche parte non poteva non essere prevista dall’imputato e venne evidente da lui non solo presa in considerazione ma anche ‘voluta’ quale più proporzionata ed accettabile contropartita pur di raggiungere l’almeno momentaneo risultato di sottrarsi alla mai sopportata invadenza della giovane».
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martedì, 24 Settembre 2019 - 14:29
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