Non c’è pace per il Consiglio superiore della magistratura. Non c’è pace nel mondo delle toghe che faticosamente sta cercando di risalire la china della credibilità perduta a seguito dell’inchiesta della procura di Perugia che ha alzato il velo sul tentativo di condizionamento operato da alcuni magistrati sulle nomine dei capi di uffici di procura.
Mentre l’Associazione nazionale magistrati, guidata da Luca Poniz (Area), cerca di respingere gli ‘assalti’ della politica che vuole intervenire sulle modalità di elezioni del Csm per azzerare la deriva delle ‘correnti’ e prova a fare del rigore estremo il solo strumento di valutazione per l’assegnazione degli incarichi (cosa che ha portato ad una spaccatura con Magistratura indipendente), continuano ad emergere situazioni che rischiano di minare la strategia di recupero dell’immagine di trasparenza di giudici e pm. Il consigliere del Csm Paolo Criscuoli (Mi) è stato praticamente costretto a dimettersi dopo un serrato braccio di ferro con gli irriducibili del ‘rigore’. Il suo nome, come quello di altri consiglieri del Csm, era finito nelle intercettazioni della procura di Perugia perché Criscuoli era tra i presenti alla famosa cena con i parlamentari del Od Luca Lotti e Cosimo Mattia Ferri nel corso della quale magistrati e politici discussero anche di nomine di capi di procura.
A differenza di altri colleghi che si sono dimessi di lì a poco, Criscuoli ha tenuto duro. Prima si è autosospeso (l’autosospesione peraltro non è un istituto previsto dalla legge), poi agli inizi di settembre si è presentato a Palazzo dei Marescialli per riprendere il suo posto, finendo così con l’aprire una guerra interna alla magistratura. Lo scorso 13 settembre, in occasione dell’assemblea dell’Anm, i vertici del ‘sindacato’ delle toghe ribadirono con forza la necessità di un passo indietro di Criscuoli: l’invito alle dimissioni venne finanche formalizzato nella delibera approvata dal comitato direttivo centrale (col solo sto contrario di Magistratura indipendente). E così lo scorso 18 dicembre Criscuoli si è dimesso, lasciando dunque libero il suo posto. Un posto che va riassegnato e che, come da regolamento, spetta al primo dei non eletto nella ‘rosa’ dei giudici di merito (Criscuoli è un giudice). E qui si pone un nuovo problema, che ancora una volta pone i magistrati di fronte ad un problema di opportunità. Il primo dei non eletti è Bruno Giangiacomo, 62 anni, presidente dal 2015 del Tribunale di Vasto. Giangiacomo, che fa parte della corrente ‘Area’ (la più agguerrita nel pretendere massimo rigore dai magistrati in questa delicata fase), è sotto procedimento disciplinare. Per quattro anni (dal 2012 al 2016) ha avuto una relazione con un’avvocatessa di Bologna, la quale è stata condannata per violazione della legge in materia di sostanze stupefacenti. La sentenza, emessa all’esito del processo di primo grado, risale a giugno.
Nella storia di droga Giangiacomo non c’entra alcunché e, peraltro, lo ha precisato la stessa avvocatessa. Tuttavia questa vicenda potrebbe creare non poco imbarazzo alla magistratura, tanto è vero che in modo garbato e implicito Area ha sostanzialmente invitato Giangiacomo a fare un passo indietro: «In questo momento difficile, riteniamo che debbano essere salvaguardati il prestigio e l’autorevolezza del Csm in quanto garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia di tutta la magistratura. Per queste ragioni – si legge in una nota di Area – prendiamo atto del percorso avviato presso le sedi istituzionali da Bruno Giangiacomo e siamo certi che adotterà la decisione più opportuna nell’esclusivo interesse dell’istituzione consiliare».
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venerdì, 20 Settembre 2019 - 12:55
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